Roberta Scorranese lontana dalla sua terra da molto tempo, racconta la storia della sua famiglia attraverso diverse generazioni. Ammetto di avere apprezzato moltissimo questo libro che racconta con semplicità e attenzione quello che sono gli abruzzesi: gente fiera che crede nei miracoli, nonostante le varie prove a cui sono sottoposti. Una nota che mi ha colpito molto è stato il parallelismo tra il passato in cui conosciamo i vari protagonisti della storia e il presente, in questo caso ambientato nel post sisma del 2016.
Il terremoto fa retrocedere le cose a una stagione primitiva, appena nata. Spoglia le case dei ricordi, trasfigura i luoghi familiari e li fa diventare orizzonti estranei. E se si arriva a non voler più vivere nella propria casa, non è per ordinaria paura delle scosse notturne ma è per la perdita di un senso di appartenenza.
Mai una descrizione più semplice di questa. Non c’è molto da aggiungere, ciò che provoca il terremoto non si può definire ma in questo libro viene descritto in modo crudo ma allo stesso tempo conviviale. Siamo una terra di pastori e, volenti o nolenti, siamo legati ad essa. Alle sue, nostre, montagne e qualsiasi disgrazia accada non possiamo avercela con Lei anche se a volte è davvero difficile. Come nel caso dell’Aquila:
Nel terremoto, L’Aquila perse i colori e acquisì odore. Camminavi e cercavi di riconoscere qualcosa di familiare, un negozio, un angolo di strada, un’insegna, ma nulla: c’era solo quell’odore di calcinacci.
Il fascino del passato e delle tradizioni è qualcosa che in Abruzzo vivi totalmente: i paesaggi incontaminati, le rovine che evocano periodi gloriosi, gli anziani dei piccoli borghi ansiosi di raccontarvi la loro vita. Non di meno quell’aura di magia e superstizione che spesso le nostre nonne ci hanno raccontato o mostrato. Un esempio è come “scacciar lu malocchje” che con piacere ho ritrovato in questo libro:
Contro l’invidia, cancrena difficile da riconoscere ma in fondo facile da estirpare: lo si faceva con una formula magica da imparare solo nella notte di Natale, accompagnata da una goccia d’olio in un piattino con acqua e triplo segno della croce.
E ricordo ancora quell’ansia nell’attendere quelle gocce d’olio che, in base alla grandezza e alla quantità, indicavano se eri vittima di malocchio e, in caso affermativo, iniziavano quei minuti di silenzio pregni di misticismo durante i quali la nonna, dopo aver riprodotto una croce oliata sulla tua fronte, recitava la famosa formula magica che ti liberava da ogni male.
Non ha mai voluto trasmettere questa formula…forse perché troppo “pesante” da custodire? Non lo saprò mai ma, da profonda scettica, posso dire che era un’usanza abbastanza curiosa e dagli effetti benefici spesso inspiegabili (suggestione? Forse).
Tutto questo papiro, abbastanza di parte, per consigliarvi una lettura estiva che vi coinvolgerà e farà apprezzare il passato e le piccole cose del presente che, troppo spesso, diamo per scontate.
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