La fotografia in Giappone #asia

Nuovo anno e nuove rubriche! Ho deciso di riesumare la mia tesi triennale, che ho amato scrivere, per raccontarvi in un modo decisamente inusuale una parte di Asia molto conosciuta: il Giappone e la Cina. Inizio, da brava nerd, dal Giappone che è stato e sarà sempre il mio primo amore.

Nascita della fotografia

La fotografia inizia a svilupparsi in Occidente a inizio Ottocento mentre in Oriente si diffonde solo a metà Ottocento a causa della colonizzazione. 

In Giappone è definita Shashin (Sha: riprodurre, shin: verità) e, oltre a mostrare il suo forte legame con la pittura, viene utilizzata sia per creare immagini realistiche sia come strumento commerciale per soddisfare le richieste occidentali nel mercato fotografico nipponico.

L’era Tokugawa (1600-1868) segnò l’ultima fase del feudalesimo giapponese, caratterizzata da una serrata politica di isolamento (sakoku) dagli stranieri che ebbe inizio nel 1641. 

Gli unici che rimasero nel territorio nipponico furono i cinesi e gli olandesi. Nel 1843 gli olandesi introdussero la fotografia in Giappone grazie ad un mercante che a Nagasaki acquistò da un importatore locale, Ueno Shunojo, la prima macchina per dagherrotipi. Le immagini fotografiche, prima che si avviasse il processo di apertura all’Occidente, documentarono l’ultima fase della società feudale caratterizzata dal dominio dell’ultimo shogun (delegato dall’imperatore alle funzioni di capo militare e politico).

Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, lo shogunato iniziò a indebolirsi e ciò permise nel 1853 l’ingresso delle navi americane capitanate dal Commodoro Matthew Perry, nella baia di Edo, l’odierna Tokyo. L’apertura forzata, costrinse il Giappone a firmare dei trattati “ineguali” con i quali acconsentiva agli scambi commerciali internazionali.

Nel 1862 nacquero gli studi fotografici giapponesi per ritratti: a Nagasaki quello di Ueno Hikoma, considerato il padre della fotografia, e a Yokohama quello di Shimooka Renjō.  I generi fotografici documentario-paesaggistico e della “mise en scene” furono i primi a svilupparsi: nel primo il viaggiatore mostrava il proprio punto di vista nello scoprire nuovi luoghi, nel secondo erano ritratti soggetti e scene di vita quotidiana in pose statiche. 

Studio di Kusakabe Kimbei “Tre samurai in armi”, 1860-1910 ca. 

Felice Beato (1834-1907), nelle sue opere si perfezionò in vedute di paesaggi, templi e ritratti di “tipi nativi” cioè personaggi di varie classi sociali tra cui lottatori di sumo, samurai, preti buddhisti e geishe. Egli aprì nel 1863, in collaborazione con Charles Wirgam, un atelier a Yokohama noto come scuola di Yokohama (1860-1910). Questa scuola diventò famosa per la fusione di tecniche pittoriche e fotografiche che avevano l’obiettivo di unire le aspettative occidentali legate al filone esotico con la nostalgia dei giapponesi per la tradizione in declino. 

La fine dello shogunato

Nel 1868 con la caduta dello shogunato e la restaurazione dell’impero, iniziò il periodo Meiji (1868-1912) caratterizzato da un veloce passaggio dallo stato feudale a quello moderno. Le vittorie ottenute in entrambe le guerre sino-giapponesi, aumentarono il nazionalismo. La fotografia entrò per la prima volta nel palazzo imperiale dopo secoli di chiusura, dovuta alla natura divina dell’imperatore Mutsuhito. Gli organi imperiali si servirono dello strumento fotografico per aumentare l’adorazione dell’imperatore e distribuendo i suoi ritratti ad ogni istituzione.

Gli anni della prima guerra mondiale segnarono l’inizio del periodo Taisho (1912-1926) durante il quale la democrazia divenne sempre più fragile fino a sfociare in un regime repressivo guidato dagli zaibatsu cioè capi militari, aristocratici e conservatori.

In campo fotografico si svilupparono nuovi strumenti e aziende di strumentazione ottica come la Nikon nel 1917. 

Ueno Hikoma “Veduta di Tokyo dal colle Atago”, 1870 ca  

La seconda guerra mondiale

Nel successivo periodo Showa (1926-1989) l’economia crollò a causa dei numerosi conflitti legati a un forte desiderio imperialista nipponico che portò gli Stati Uniti a non riconoscere la parità razziale. Tale disonore pose le basi per l’entrata in guerra del Giappone contro gli americani che terminò tragicamente con il lancio della bomba atomica sulle città di Hiroshima e Nagasaki.

Matsushige Yoshito  Miyuki bridge, Hiroshima,1945

Nella fotografia si sviluppò il genere dell’atomica con Matsushige Yoshito (1913-2005) che il 6 agosto del 1945 si trovava a Hiroshima e che documentò diversi momenti dopo l’esplosione.  A Nagasaki non ci furono sopravvissuti da documentare ma cercò di ricostruire l’accaduto collaborando con altri fotografi come Yamahata Yosuke (1917-1966), il quale si occupò di fotografia di guerra e realizzò immagini rappresentative di Nagasaki. Durante l’occupazione statunitense queste fotografie furono riprodotte raramente e solo dall’agosto del 1952 furono diffuse massivamente.

Yosuke Yamahata, Nagasaki journey,1945 

Con la pesante sconfitta nella seconda guerra mondiale, iniziò l’occupazione americana che portò a una progressiva smilitarizzazione dell’esercito giapponese e all’introduzione di una nuova costituzione che ridusse l’imperatore a una semplice figura simbolica. L’occupazione terminò nel 1956 e i decenni successivi si caratterizzarono per un’enorme crescita economica, che s’interruppe bruscamente negli anni Novanta scatenando un forte malcontento politico. 

Il Giappone oggi

Dal secondo dopoguerra a oggi, il compito della fotografia è stato quello di documentare la rinascita di questo Paese dalle “macerie” della seconda guerra mondiale ed ha portato alla nascita della fotografia “on the road” con la quale i fotografi hanno mostrato gli effetti dell’urbanizzazione e della globalizzazione sull’uomo e sulle città.

Uno dei pilastri della fotografia nipponica contemporanea è Daido Moriyama (1938-) che, lavorando negli anni Sessanta per la rivista fotografica sperimentale Provoke, si è distinto per le sue immagini fotografiche sfocate. Il suo scopo è di mostrare le contraddizioni culturali presenti nella società moderna giapponese, unendo nelle fotografie illusione e realtà e fornendo una visione cruda della vita di città, caratterizzata dal caos.

Daido Moriyama Riot, Tokyo,Japan,1969

Rinko Kawauchi (1972-) è una delle fotografe più innovative degli ultimi anni: nelle sue opere crea delle storie selezionando immagini all’apparenza estranee tra loro ma in realtà accomunate da colori o forme. In “Untitled” del 2007, la Kawauchi sceglie un’angolazione particolare: la base delle scale della metropolitana. I pendolari, succubi della frenesia quotidiana, sembrano arrampicarsi verso l’uscita della stazione mentre un raggio di sole scende le scale, creando un’atmosfera trascendente. I soggetti sono vari e per la prima volta le persone non vengono quasi mai fotografate. La fotografa si concentra sulle strade, sugli oceani, sui fiori, sugli animali immortalandoli in attimi e situazioni che creano atmosfere legate al sogno, al tempo e al divino

Rinko Kawauchi, Untitled, Iluminance,2007

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