In Cina sono molte le definizioni legate alla fotografia, ma è Zhaoxiang (Zhao: luminosità, Xiang: immagine) quella che si avvicina maggiormente alla definizione occidentale e indica l’adozione dei valori estetici e compositivi della pittura che considera l’immagine come mezzo di contemplazione.
Con l’apertura dei porti all’Occidente, nel 1842, la Cina, pur essendo considerata principalmente una colonia, diventa oggetto dell’interesse occidentale.
Sin dalla sua introduzione nel Paese, la fotografia è stata il principale mezzo utilizzato per instaurare un dialogo tra la cultura occidentale e orientale. L’esempio più evidente è stata la proliferazione di studi fotografici occidentali oltre che l’ingresso dei missionari all’interno del paese. La Chiesa cattolica è stata una delle prime istituzioni a mostrare interesse per la Cina con lo scopo di favorire l’incontro tra le culture locali e la fede cristiana, diventando uno dei principali mediatori tra i due continenti nell’Ottocento.
La nascita della fotografia
Nonostante i vari generi fotografici siano stati inaugurati da fotografi occidentali e perfezionati da quelli orientali, Long Chin-san (1892-1995) è considerato il “padre” della fotografia cinese. Si impose come divulgatore della fotografia, inaugurando la fotografia pittorica cinese nel 1961 con cui evidenziò il forte legame con la pittura e rese il mezzo fotografico indipendente. Partendo dalla pittura di memoria creò la fotografia di memoria nella quale l’immagine finale non era altro che una sintesi d’immagini di luoghi reali ricomposti e assemblati. Fu il primo a trasformare le tecniche fotografiche in una disciplina accademica e organizzò mostre al di fuori della Cina, dedicandosi anche al fotogiornalismo.

Felice Beato, uno dei precursori del fotogiornalismo in Oriente, documentò le conseguenze della spedizione militare anglo-francese in Cina, durante la seconda guerra dell’oppio (1860). Il suo scopo era riprendere l’attimo e questo lo consacrò come uno dei migliori fotogiornalisti di guerra di quel periodo.
La svolta cinese ci fu con il fotogiornalista Shafei (1912-1950) che, grazie alle sue immagini crude, permise al mondo di far conoscere la Cina. Egli documentò le guerre sino-giapponesi (1937-1945) e il fronte nordico con immagini in cui colse il vero momento drammatico della battaglia con freddezza eroica, rischiando egli stesso la vita e che costituirono un documento visivo carico di crudeltà, propaganda e ricerca estetica.

L’ era maoista
Henri Cartier Bresson (1908-2004) è considerato uno dei padri del fotogiornalismo grazie alle sue fotografie nelle quali coglie l’attimo decisivo di ogni evento che rappresenta ed è tra i primi fotografi europei a entrare in Cina durante la guerra civile nel 1948-49, raccontando gli ultimi sei mesi del Guomindang (Partito nazionalista cinese) e i primi sei della Repubblica Popolare Cinese.
La fine del Guomindang segna l’inizio di una nuova era e Bresson evidenzia nelle sue opere la felicità e la speranza che animano il popolo cinese. Dieci anni dopo, nel 1959, torna in Cina per assistere al decennale della fondazione della Repubblica. Il suo reportage è un tripudio di danze, celebrazioni e laboriosità con cui racconta la nuova Cina.

I festeggiamenti per il decennale attraggono diversi fotografi occidentali come Caio Garrubba (1923-2015), importante figura della fotografia italiana contemporanea e secondo fotografo occidentale, dopo Bresson, a entrare nel Paese. Assegna alla fotografia un ruolo etico con lo scopo di rendere visibile la dignità delle persone ritratte, appartenenti ai ceti sociali più svantaggiati.
A causa della rivoluzione culturale (1966-1975) del 1966, che aveva lo scopo di diffondere un’unica linea interpretativa dettata da Mao Zedong, il patrimonio culturale cinese fu quasi interamente distrutto. Durante la rivoluzione si svilupparono fotomontaggi e ritocchi. In questo periodo la fotografia cinese fu puramente maoista, perché i fotografi lavoravano per il governo e affidavano i loro film a editori burocrati che pubblicavano le immagini politiche più gradevoli. Possedere fotografie del passato era considerato un crimine ma molti giornalisti coraggiosi le conservarono come prova storica per il giornalismo.
Dopo Mao
La svolta fotografica ci fu nel 1976 con la morte di Mao Zedong e del premier cinese Zhou EnLai, quest’ultimo contrario allo sviluppo della fotografia amatoriale. Questi avvenimenti posero fine alla rivoluzione culturale e al conseguente isolamento quarantennale, permettendo la diffusione di saloni fotografici e mostre nelle quali furono esposte foto personali e non solo propagandistiche.
Nonostante la fine dell’era maoista, il partito comunista mantenne il potere e continuò a limitare le libertà. Significativa fu la rivolta di piazza Tian’anmen nel 1989 a Pechino, durante la quale ci furono scontri violenti tra civili e polizia a causa della diffusione di messaggi “indiretti” contrari al governo.
Dagli anni Novanta la fotografia cinese ha continuato a evolversi, creando e perfezionando vari generi fotografici. La fotografia concettuale, in particolare, ha segnato l’inizio della fotografia contemporanea in Cina soprattutto grazie a nuovi aspetti egemoni di questo strumento come la priorità data all’idea, al pensiero e al percorso necessario per realizzare l’immagine.
La fotografia concettuale
Uno dei primi fotografi a interpretare questo nuovo concetto fotografico è stato Mo Yi (1958) che ha racchiuso nella fotografia il senso di insicurezza e oppressione dei cinesi, causato dai cambiamenti politici e sociali del Paese. In opere come “Me in My Surrounding” Mo Yi ha rappresentato l’alienazione degli individui in un contesto di rapida urbanizzazione e l’ha enfatizzata scegliendo angolazioni inaspettate che risultano essere spesso ambigue.

Altro aspetto della fotografia concettuale è costituito dai fotografi autodidatti che utilizzano la fotografia per lavorare con gli artisti e documentando le performance. I più famosi sono Xing Danwen (1967) e Rong Rong (1968), autori degli scatti della serie fotografica “East village”, un villaggio periferico di Pechino. Rong, che sì trasferì al villaggio nel 1992, realizzò una serie fotografica sulla comunità artistica, esaltando il degrado del villaggio attraverso le fotografie di rovine, autoritratti, performance che avevano lo scopo di raccontare le trasformazioni della società.
Altro esempio è Liu Bolin (1973) le cui immagini “ricostruite” ribaltano il consueto rapporto performance-fotografia perché l’enfasi è posta sull’immagine finale per la quale la performance è concepita. Conosciuto come “l’uomo invisibile”, nelle sue foto-performance con l’aiuto di un gruppo di pittori, dipinge il proprio corpo fino a fondersi con lo sfondo della scena fotografata. Nella sua famosa serie fotografica “Hiding in the city”, utilizza questo suo camuffarsi come mezzo per attuare una silenziosa protesta volta a criticare la società e la politica cinese. La critica è rivolta soprattutto alla continua urbanizzazione che causa la distruzione di diversi luoghi, frantumando il legame emotivo che gli individui stabiliscono con essi.

Negli anni Duemila si sviluppano diversi approcci fotografici legati alle tecniche digitali, alla critica verso il consumismo e l’americanizzazione del Paese.
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